«Mors vitam vicit»: morte e morti nel mondo romano
«Mors vitam vicit»:
morte e morti nel mondo romano
Nicola Criniti
"Ager Veleias", 20.05 (2025) [www.veleia.it]
«Passante, quello che tu sei, anche io lo sono stato: quello che io sono, lo sarete anche tutti voi». È un memento mori inquietante e molto diffuso, quasi uno stereotipo nella cultura mediterranea: dalla Palestina ellenistica, all'Italia medievale/rinascimentale, ai cimiteri europei post-napoleonici, agli epitaffi funerari occidentali otto-novecenteschi.
«Mors vitam vicit», nessuno «ha potere sul giorno della morte»: come lasciò scritto Cicerone, «è sicuro che dobbiamo morire, ma non sappiamo se in questo stesso giorno»… È certo solo che cotidie morimur!
Anche se costa "fatica", dunque, finché ti è concesso – dum licet – vivi pienamente il tuo tempo, giorno dopo giorno... La morte, del resto, avrà il senso che le abbiamo dato con il nostro vivere quotidiano. È la Mors stessa che, tirandoci in modo deciso per le orecchie, lo suggerisce: «Vivete appieno, sto per venire».
Le frequenti esortazioni iscritte al carpe diem di oraziana memoria, dal canto loro, sono l'atavica eredità classica di un diffuso scetticismo e di una altrettanto diffusa incertezza e perplessità sul destino dell'uomo dopo la morte: «Sono sicuro che non c'è domani!» si epigrafa a Roma, in età imperiale.
Unico sollievo, fors'anche speranza, è allora quello di essere ricordati dai sopravvissuti: la vita dei defunti è affidata alla memoria dei vivi, scrisse ancora Cicerone.
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